Caterina, Giorgio e… Babi e Step

di Sonia Ferrarotti

Caterina ha 13 anni. È scappata da scuola dopo una lite con una sua compagna. Davanti casa trova una volante della polizia. La stanno cercando. Un ragazzo, più o meno suo coetaneo, la aiuta a nascondersi. Dalla finestra della sua camera si può osservare l’appartamento di Caterina. Le racconta tutto quello che a visto negli ultimi mesi: «Un giorno torni vestita come una ragazza anni ’70, jeans, foulard…il giorno dopo sembri una vamp del cinema…ma tu chi sei veramente?»

Giorgio ha 13 anni. È sempre stato un ragazzino modello: buono, collaborativo a casa, bravo a scuola. Per un anno si trasferisce a casa sua una cugina francese, che non aveva mai conosciuto. In quell’anno succede qualcosa nella vita di Giorgio. È turbato. I suoi pensieri vanno altrove. La scuola comincia a vacillare. I genitori sono distratti da altre storie affettive. Giorgio inghiotte della naftalina e finisce in ospedale. Quando torna a casa la cugina riparte e lui si rende conto che da quel giorno nulla sarebbe stato più come prima.

Caterina e Giorgio non si incontrano. Non si incontreranno mai. Primo perché vivono in epoche diverse: Caterina ha 13 anni, Giorgio quell’età l’aveva quindici anni prima. Secondo perché Caterina e Giorgio non esistono. Non sono reali. Sono personaggi. Sono i protagonisti di due film: Caterina è la protagonista di “Caterina và in città” di Paolo Virzì (2003); Giorgio è uno dei personaggi principali di “Mignon è partita” di Francesca Archibugi (1988).

Due film che parlano entrambi di “adolescenza”, realizzati in tempi diversi . Ma i due ragazzi protagonisti delle vicende narrate dai famosi registi condividono degli aspetti similari. Sono entrambi adolescenti, quindi, persone avviate verso un processo di ricerca della loro identità adulta: l’adolescenza è un momento di transizione nel quale vengono ridefinite le posizioni del figlio all’interno della famiglia e ricontrattati i “confini”, perché l’adolescente si affaccia al mondo e fa le sue prime esperienze al di fuori dell’ambito familiare.

Caterina, trasferitasi a Roma da un paese del viterbese e iscritta dal padre al “Viscontino”, scuola media del centro nota per essere frequentata da personaggi di rilievo della politica e della cultura romana, ricerca la sua identità frequentando amicizie diverse: dalla figlia di intellettuali di “sinistra”, alla rampolla del sottosegretario di “destra”.

Le immagini della cultura di “sinistra” e di quella di “destra” sono, nella sceneggiatura del film, volutamente stereotipate: la giovane sinistrorsa, avvolta nella kefiah di ordinanza, vive in una stanza-regno della quale gli adulti rispettano la piena autonomia, mentre la più scafata destrorsa sa come ottenere tutto dal padre e se ne va in giro con l’autista a fare shopping e angherie nei negozi. In una sorta di “Zelig” (Woody Allen, 1983) adolescenziale, Caterina assume le sembianze ora di uno ora dell’altro ambiente, sentendosi a disagio in entrambi.

Anche Giorgio è alla ricerca della sua identità. La prima infatuazione adolescenziale lo coglie impreparato. Gli adulti di riferimento sono distratti e lontani e lui si ritrova solo ad affrontare questo momento critico della sua crescita.

Quest’ultimo è l’aspetto che maggiormente differenzia le vite di Caterina e Giorgio. Giorgio e i suoi quattro fratelli vivono una vita completamente separata da quella degli adulti; i loro genitori sono troppo impegnati nelle loro crisi per occuparsi dei figli. Caterina, invece, ha un padre asfissiante, che ricerca nella vita della figlia il riscatto della propria esistenza.

Questa differenza sottolineata in modo forse eccessivo nei due film, riflette, in realtà, il cambiamento che è avvenuto nella famiglia in questo periodo storico e il conseguente mutamento della figura dell’adolescente all’interno della famiglia stessa e della società. In questi ultimi anni si è assistito, infatti, ad un progressivo passaggio dalla famiglia tradizionale, etica e normativa, alla famiglia degli affetti, che può a ragione essere nominata “famiglia affettiva” (Pietropolli Charmet, 2000).

La famiglia di Giorgio, in realtà, rappresenta un po’ una fase di passaggio dalla “famiglia tradizionale” a quella “affettiva”, in quanto la prima è una famiglia che si caratterizza per la trasmissione di regole e valori con una modalità spesso autoritaria. Ne consegue l’instaurarsi di un clima relazionale altamente conflittuale all’interno delle dinamiche familiari, soprattutto tra genitori e figli adolescenti. Negli anni ’80, nei quali sono ambientate le vicende di “Mignon è partita”, questa modalità di funzionamento familiare era già stata messa in discussione dalle lotte politiche e sociali del decennio precedente. I genitori dell’epoca erano, se possibili, ancor più in crisi dei figli rispetto ad una ricerca di identità genitoriale, in quanto il modello materno e paterno dei propri genitori non era più adeguato alle rilevanti trasformazioni sociali di quel determinato periodo storico. La paura del cambiamento, investiva tutti i membri della famiglia, impegnati nella duplice ricerca della propria identità familiare e sociale. Così i genitori si trovavano a prendere le distanze dal mondo dei figli adolescenti, che rappresentava la messa in crisi dei loro valori e tradizioni.

La famiglia di Caterina è, invece, una “famiglia affettiva”. Una famiglia molto attuale, nella quale prevale la tendenza a favorire la circolazione degli “affetti” più che gli assunti e  le regole. Il padre di Caterina è molto presente nella sua vita (al contrario dei genitori di Giorgio). È un personaggio fin troppo marcato nella sua nevrosi ossessiva di ricerca di riscatto nel mondo della figlia, ma credo possa essere assimilabile alle nuove “figure paterne” che si stanno sempre più delineando negli ultimi anni (Andolfi, 2001). Questa maggiore presenza dei genitori nella vita dei figli è caratteristica di questo periodo storico.

In questa famiglia “moderna” sono cambiati di conseguenza anche i bisogni ed i disagi dei “nuovi adolescenti”. Nonostante la conflittualità, per così dire “fisiologica” sempre presente, si assiste ad una diminuzione dei fenomeni di “aperta opposizione” alle figure genitoriali. I bambini vengono allevati in un clima familiare caratterizzato da bassa conflittualità e blandamente frustrante, con figure adulte più presenti e disponibili; ciò genera adolescenti più propensi a rivolgersi ad un “adulto competente” per ricevere sostegno in questa delicata fase della loro crescita (Lanciani, 2003).

Questa è la ragione del proliferarsi dei Centri di Ascolto, soprattutto nelle scuole, e il loro discreto successo. Ad essi accedono ragazzi e ragazze con problematiche diverse rispetto ai loro coetanei delle generazioni precedenti. Scrive  Matteo Lanciani: “si tratta di adolescenti più fragili narcisisticamente piuttosto che conflittuali e, in qualche modo più depressi e meno arrabbiati[1]. Secondo l’autore, in una lettura psicodinamica del fenomeno, gli adolescenti attuali sono più orientati verso l’area della “depressione” che verso quella della “rabbia”.

Ne ho avuto conferma lavorando con gli adolescenti. Anche se le mie riflessioni divergono da quelle del Lanciani in quanto riscontro nel fenomeno la manifestazione di un disagio dell’area relazionale, che può riguardare in misura diversa i sistemi nei quali l’adolescente è inserito (dei familiari, dei coetanei, degli adulti).

E l’adolescente del 2010?

Sicuramente l’adolescente del 2010 è meno “arrabbiato”, meno reattivo, più disincantato e distante dagli avvenimenti quotidiani. Negli anni settanta ci sarebbero stati gli studenti insieme agli operai sui tetti. Oggi questa solidarietà tra mondo della scuola e mondo del lavoro sembra tristemente diminuita.

Mi rifiuto di pensare che lo specchio dell’adolescenza di oggi sia quella descritta nei più recenti, a mio avviso terribili, film di Moccia: per fortuna nella mia personale esperienza come psicologa e operatrice teatrale nelle scuole ho incontrato poche Babi e pochi Step (protagonisti di “Tre metri sopra il cielo” – 2004), o comunque ragazzi meno “vuoti” rispetto a quelli descritti nei film del citato scrittore e regista.

Ma credo necessiti comunque fare i conti con il cambiamento sociale in atto.

Fornire modelli adeguati agli adolescenti di oggi significa, innanzitutto, mettere in discussione i propri: non possiamo chiedere ai nostri figli di essere artefici del loro destino se poi ci troviamo la sera davanti alla tv ad identificarci con il “fortunato” di turno al quale “mamma Rai” o “papà Mediaset” cambierà la vita se apre il pacco giusto o gira appropriatamente una ruota.

Un poeta dei nostri tempi, decenni fa, cantava “bisogna avere il pacco, intinto, immerso dentro al secchio…” (Jannacci, 1980).

Ma la sua era ironia. E oggi i “pacchi” è bene che si impari a tenerli al loro posto.



[1] Lanciani, M., 2003, Ascolto a scuola. La consultazione con l’adolescente, ed Franco Angeli, Milano, p. 22.

 

Bibliografia

Andolfi, M.; Forghieri Manicardi, P. (a cura di), (2001), Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in una prospettiva sistemico-relazionale, ed. Franco Angeli, 2001, Milano.

Lanciani, M., (2003), Ascolto a scuola. La consultazione con l’adolescente, ed Franco Angeli, Milano.

Pietropolli Charmet, G., (2000), I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, ed Raffaello Cortina, Milano.

TESTATA WEB NEL QUALE E’ PUBBLICATO L’ARTICOLO:

http://www.gliitaliani.it/2010/09/caterina-giorgio-e…-babi-e-step/

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